Quella parola violenta! E la violenza di quella parola ha la forza fatua della tua miseria! E sono la «troia» e sono la «puttana» e quella «vacca da mettere a novanta» e sono l’amarezza, l’amaro in bocca, sono tutto l’amaro che devo solo succhiare e, muta, chinare il capo per ingoiare – tutti i nomi che sono e che non sono. Come puoi dirti «un uomo»? Ti dico lo so: ti viene facile quello schiaffo sordo e secco. Ti dico lo so: che devo sempre e solo, ancora, tacere. Mentre precipito dalle scale per la tua ennesima spinta. Quella parola violenta! E la violenza brucia la pelle e corrode la faccia! E sono il viso che hai deturpato con l’acido per una colpa che non ho commesso, per tutto lo sperma che ho rimesso nei secoli dei secoli –  amen! Baciamo le mani assassine e torniamo nel nido di omertà.

Ti sorrida quel taglio sulla gola: vomita sangue e silenzio – il mio collo è un strazio e tu ti senti la mano armata di un dio impunito, libero di giocare al massacro. In virtù di quella violenza che se la schiava esce di casa, esce distesa. E trema la terra che mi mangia. Quella parola violenta! Le pupille impresse dalla paura sono un panorama che nessuno resuscita, nessuno riscatta, poi ti strappa la camicia e a forza ti blocca: ti stupra e ti amputa, piove un rosso dolore e ti priva della vita, annulla la speranza, estirpa il clitoride e in tutto questo – si fa beffe di quel tuo stupido piangere: «perché proprio a me?».

Perché a tutte cuce la bocca e cuce la pelle: sono i settanta punti di sutura, la frattura scomposta e le domande del medico. Quella parola violenta! E sono tutte scuse – le tue crisi di astinenza, l’alibi della tua dipendenza e dalla droga e dal bicchiere: sono le finte promesse di un domani migliore, sono trent’anni di percosse – da quando mi ha portata all’altare. Quella parola violenta! E sono tua figlia, tua moglie, tua mamma e tua sorella, sono la passante colpevole di minigonna, sono la più procace delle tue alunne, sono quella da cui non accetti un rifiuto, sono ubriaca e sei tu che mi trascini nel vicolo. Quello più buio, quello senza via d’uscita. Tanto ero io quella – con la bocca da porca.

Quella parola violenta! E sono l’obbligo di coprirmi e l’obbligo di spogliarmi, sono le forme che devo nascondere e sono le forme che devo mostrare, sono quello che non devi vedere e sono quello che ti devo esibire, sono il prezzo da pagare per non contare i lividi, sono l’unico modo per lavorare nei tuoi cristalli liquidi, sono le ceneri perché il rogo cancelli i tuoi scandali. E sono un picasso di ecchimosi, sono tutti quei plagi, sono tutti gli abusi, e sono tutti i calci in pancia per gli aborti che la tua rabbia ha deciso: gonfiare di botte e sgonfiare di culle – come un pallone gravido che non ti diverte!

Quella parola violenta! E sono la santa che ha preferito la morte, sono il calco dei denti dei miei resti massacrati, e sono il bersaglio dei tuoi sputi, sono le mie unghie impotenti, il fetore del tuo peso, il muro che mi strappa, la lama che mi punta, le labbra che mi tappa, il fango che m’intasa, m’invade, m’infetta – la gola il naso le ossa – mentre mi forzi il cranio, supina, sull’asfalto del parcheggio. E prego e supplico e voco – invano – qualcuno, qualcuno che esca dalla discoteca e ti veda, ma nessuno, nessuno vede la violenza che si consuma in ogni angolo e in ogni piano e in ogni luogo, in ogni buco: è un crepare lento e nero e violalutto, nell’eterno ritorno dell’eterna indifferenza.

Atroce ripetere l’orrore e parte la denuncia, ma nessuno, nessuno può rendermi l’innocenza. E sono la piccola vittima di un’altra e un’altra e un’altra molestia ancora, troppo piccola perché qualcuno mi creda e creda sia un mostro e non un parente stretto – quello che mi accompagna al campeggio. Quello che mi sevizia con comodo perché tanto: vive sotto il mio stesso tetto. Entra tutte le notti nel mio letto di bimba per giocare giochi che non voglio giocare. Spero solo finisca e presto e in fretta. E chiedo pietà e nemmeno più la chiesa è un posto sicuro per sentirmi sicura. E neanche a scuola. Ora che hai convinto anche la mia compagna e un’altra e un’altra e un’altra ancora: hai convinto. E ogni fanciulla si è armata di catena per esercitare la stessa crudeltà che tu hai sempre preteso come un diritto, azzerando ogni rispetto. E sono sola, con un’altra spranga che mi frantuma la schiena e mi paralizza – l’anima.

Quella parola violenta! Assorda la tua minaccia mi strozza la gola sbavando «stai zitta zitta zitta!», mi spolpa e mi sporca con la furia omicida di muscoli che non posso fermare che non posso frenare – le minacce diventano certezze nel mio martirio [che volevo solo passeggiare in quel parco, al tramonto]. Non ho scampo e tu hai tutto il tempo per spaccarmi anche l’altro polso. Quella parola violenta! E sei nel vetro infranto dell’auto, sei il mio ragazzo legato e impedito dal darmi aiuto, in quel sentiero, dove cercavamo un posto nostro. E sono lo sfogo perché vuoi vendicare qualche trauma passato, e vuoi solo farmi subire quello che a tua volta hai subito, sono l’ultimo anello di una catena malata, sono il più debole e il più semplice da battere, sono l’inferma più fragile e più esposta al pericolo, sono l’orrore, l’orrore della guerra anche in tempo di pace. Sono in ogni stato e in ogni paese, sono quelle mimose che sono solo una zecca commerciale – perché in ogni lingua sono il male che mi schianta, sono le grida che non sono scudo, sono il distacco di chi non rischia, di chi chi gira la testa, di chi si crede immune, sono la percentuale costretta a crescere, sono un dato di cronaca, il quotidiano che non ti tocca e non ti riguarda, sono la ferita che non rimargina e si radica nella violenza di genere, nella violenza in genere: è un meschino pervertire l’umano e nel fumo di zolfo mi violentate a turno per piacere del branco, uno squarcio, uno per uno, dall’utero all’intestino, dal retto alla trachea – mi guardo dall’alto e mi sento svenire per lo strappo delle carni, per la grandine di colpi, sempre più forti. E così mi scannate e, compiaciuti boia, ridete – ridete sempre più forte – e vi passate la mannaia…

Quella parola violenta! E quanta parola mi violenta se provo a dire a qualcuno quel che ha ucciso dentro e devastato fuori. E quanta parola violento per non dire, per il panico di una qualche più tragica ripicca o più feroce vendetta. Perché non so dove andare, dove scappare o a chi chiedere, né come dimenticare e continuare a convivere – con il marchio della violenza che mi segnò senza ritorno, m’insegnò un lato oscuro che ti giuro non me lo sono cercato e non trovo un motivo valido quando dici che me lo sono meritato e solo perché ho sorriso a uno sconosciuto…

E ora soffoco: ogni sorriso nell’incubo, nel ricordo che ti racconta la mappa delle mie cicatrici, il mio setto nasale rotto e la milza che mi hanno asportato. E ora è successo di nuovo, grazie al video, perché qualcuno adora a tal punto uno spettacolo violento da riprendere tutto – per deviare tutti quelli che credono: il più violento il più potente.

E carnefice su carnefice: è un impero che prospera la mattanza! Quella parola violenta e per quanto tu possa lavarti le mani, quella macchia non passa, per quanto tu possa tagliarmi la lingua e chiudere gli occhi, spezzarmi le ginocchia e piombare le finestre, per quanto ti consoli fare finta di non sentire e sentirti al sicuro e sentirti pulito, nel corpo e nella coscienza – quella parola violenta! Quella parola ti aspetta, alla fine del corridoio, per quanto lungo, mentre mi porti al patibolo, quella parola sono io. Parola di donna, parola di tutte le donne che tu: non provi vergogna?

 http://www.corridoio.org/testo.html

http://www.corridoio.org/

http://www.marcantonio.eu/

Ringraziando Marcantonio Lunardi e tutte le Anime che [sanno vedere e non possono e non vogliono e non devono: tacere]

***

What I’ve felt
What I’ve known
Never shined through in what I’ve shown
Never be
Never see
Won’t see what might have been
What I’ve felt
What I’ve known
Never shined through in what I’ve shown
Never free
Never me
So I dub thee UNFORGIVEN

 

 

 

Non s’insegna ciò che si sa.
Non s’insegna ciò che si vuole.
S’insegna ciò che si è.
[Juan Jaurès]

Otkaz: vocabolario gestuale e grammatica espressiva, stage per tensionare e tenere il tréteau.
Genova, 2010: la Dama ringrazia il gruppo di Anime fiere, in ascolto nel cerchio/circolo di mutuo darsi e riceversi

Chiara Daino_Stratocaster

Music for Peace Aid. E quale Musica? E quando Guido [Conforti] mi contattò per l’happening Più di Uno – chiedendomi che cosa intendessi performare per l’occasione, la risposta non poteva che essere: «un brano del Lupus!». Piùccheconsapevole: nel mezzo degli Artisti [sul Palco] e degli Astanti [nel Pubblico] qualcuno sarà scosso da moto indigesto [conosco – sic! – troppo bene certo genovesume] per la coniuctio Peace-Heavy Metal… E non posso che: ridere. Non posso che ricordare: quel senso di Fratellanza e di Famiglia che connatura la Musica Metal. Nell’ovunque e nel comunque – fino alla fine del fiato – i bambini borchiati lotteranno insieme. Perché la Storia la scrivono tanti singoli che musicano e mirano: lo stesso spartito e lo stesso scopo. Lasciando agli altri la strage fratricida millantata e mascherata da perbenismo [nigro notanda lapillo!].
http://moulinrouge.wordpress.com/2009/09/10/piu-di-uno-music-for-peace-aid/

voce di vento[1]

ho parlato al vento, il vento mi ha parlato
«sono solo sogni»: è stata la sua sentenza
ho provato a partire dallo Stato Mentale
[ non ero certo – convinto: non cercavo
come chiudere il cerchio – del mio castello:
riserva  di aria ]
e soffro e solo e sento la strale del dolore
secco – le lacrime [ all’angolo dell’occhio ]

ho parlato al tempo, il tempo mi ha parlato
«non piangere»: solo questo. il suo – ordine
ho provato a vivere libero, vivendo la vita
la mia ricerca [ di te ] continua:
mi racconto
lucide bugie
mi ritaglio verità artificiali a cui credere, 
ma la tua voce non arriva non – ancora

raccontami storie, non voglio sentire il silenzio
resta con me, voglio sentire: i toni del tuo rosso
parla con me, con chi non si vuole: sentire solo
piangi per me, per melodiare il mio nome magro
lacrima per me, lascia viva, eterna: la mia orma

ho parlato al cielo, il cielo mi ha parlato
«mamma morte ti aspetta»: la frase fine
piove – e ho parlato anche alla pioggia

ho parlato alla notte. e so che ora devo
aspettare [ solo un secondo ] prima che tu
sia qui. sei tu chi migliora – tutta la mia
attesa: il tempo che manca, che allontana

il quando del mio – esito: solo tu, sarai chi
mi darà dimora: domani – distrutte le mura
sarai tu a salvarmi dalla mia bocca di corvo
.

attendo l’arco dell’addio,
quando tu sciogli i nodi,
quando tu: liberi – resti

da me. domani
è dove: ti trovo
il mio riposo e il mio eterno.

ho parlato al mare, trono – nel timpano,
ho provato a preferire: la veglia al sonno,
ma duro nel dove dormo un reale riposo 

 

«curami e ripara ogni mio male»
le parole dette: a te, Dama nera!
[ ho parlato con te che non parli
la morte è muta: mastica

e sputa ]


[1] Talk to the Wind, Shadows of Steel

Chiara_DainoFra 100 anni, quando saremo sdoganati, i posteri si renderanno conto che cultura, intelligenza, profondità, acume, passione, ribellione, anima, cuore e fuoco erano le muse che c’ispirarono.
Il metal ha bisogno di coraggio.
Complimenti

Andrea [Braindamage]

 

 I grow sick and tired of the same old lies! [Judas Priest, 1980] E siamo davvero stanchi [Metal People, 2009] del carico di colpe, del plotone di pregiudizi e perversioni che dobbiamo sopportare! E resistiamo, nonostante. E si rende grazie a messaggi come quello di Andrea, postato sulla bacheca del Lupus, e si rende sempre più alto il volume della verità gridata in faccia! Adesso basta! Personalmente, non ho intenzione di aspettare 100 anni un qualche riscatto e brindare nel Valhalla o nel dove purgherò i miei peccati! Posso prendere sul serio la questione culturale di questo Paese? Posso credere Artisti torme di tacchini infarciti di boria enciclopedica che diatribano del: chi ha recensito chi e per quale occulto motivo, chi ha scopato chi per ottenere cosa, chi può dirsi critico, chi non può dirsi scrittore, chi può dare alla stampe dandola via,… E nauseme simile? E questo per quanto riguarda le Lettere [Musica e Teatro e Cinema presentano altrettante MerDaviglie che, attualmente, non mi regge l’esofago a fiamma – riportare]. Appurato il vischio teorico che mummifica quei miceti che si spacciano mentori del passato/presente/prossimo poi [gran parte, per carità!, baciamo le borchie dei pochi numi/lumi rimasti] – non resterò in questo pantano patetico in silenzio! Non resterò immobile nell’immondo! E Metallo volle che non fossi l’unica! Per questo l’ennesima pagina, la cronaca del Lupus [cronaca che vi risparmia i dettagli di una serata agghiacciante in quel di Genova, città tristemente nota per la fatica inumana cui sottopone chiunque non sia un asceta e si debba esibire!]. La cronaca nera di una Poesia che non è morta, veste semplicemente la pelle – del chiodo! Fisso. Quel futuro che nessuno può più negare. La cronaca nera. E ora, chi ha paura del buio?

scotofobia[1]

io sono: sono chi cammina – solo
nel quando: avanza una strada scura
nella notte, nel parco dove – passo

se la luce cambia veste [ si muta ]
mi sento un altro, un strano morso:
tormento mi morde, tutte le volte
è sempre è quando: è al tramonto

fobia del nero – è il taglio

del buio, di quel che [ porta paura ]
mi prende: è il panico di un chi…
è presente: è qui! resta e spaventa
quel che, quel chi: fissa la mia fobia

sono strida – le tue dita sul muro
sono scosse – per te, lungo la nuca
ricerchi: [ dove? ] un punto di luce?

ricordi: [ cosa? ] lo sguardo sospetto
all’angolo, nella stanza – le volte
che ti vinse la sensazione: questa
quella cosa – ti calcava le ciglia

ripensi: [ quando? ] la notte sei solo
e credi di sentire dei passi – dietro –
ti volti di scatto: e non vedi. «nulla»?

rivedi: [ come? ] corri corri corri, …
perché temi di guardare – di nuovo
alle tue spalle –, lo senti: ti segue…

panico in pellicola: l’hai visto
ieri – notte di pratiche di streghe
di buchi neri nel teschio – la testa
ti tradisce: crea corpi crudeli

subito segni: lo sguardo che sgrana
danze di larve – calca – alle costole

la mia marcia lungo le strade scure
[ sono un chi che cammina da solo ]

 


[1] Fear of the Dark, Iron Maiden

« Non sono un angelo e non pretendo di esserlo.

Non è uno dei miei ruoli.

Ma non sono nemmeno il diavolo.

Sono una donna e una seria artista,

e gradirei essere giudicata per quello. »

 

[ Maria Callas ]

 

Tamara

Tamara

 

 

Non cambia cute.

Pure: è sempre. Una questione di: pelle. Sentire a pelle. Sentire sotto la pelle. Tutte le persone che. Tutte le donne che sono. E sono con me: Nikita, Martirio, Nina, Sasha, Emily, Vivien, … E ora [ e presto ]: Tamara. E si presta e si appresta il “corpo a corpo”: carne alla carta. E si fonde: La Donna d’oro [ http://www.ibs.it/code/9788860680754/babino-cristina/donna-oro ], anima/antenna di Cristina Babino  che rende: vox, vis, vita.  Cristina Babino [ http://lacuginaargia.wordpress.com/ ] che si ringrazia. Per la parola. Per il palco che. Sia e sarà.

Les Fleurs Du Mal

Les Fleurs Du Mal

 

LXXXV – L’Horloge

Horloge! dieu sinistre, effrayant, impassible,
Dont le doigt nous menace et nous dit: “Souviens-toi!
Les vibrantes Douleurs dans ton coeur plein d’effroi
Se planteront bientôt comme dans une cible;

Le Plaisir vaporeux fuira vers l’horizon
Ainsi qu’une sylphide au fond de la coulisse;
Chaque instant te dévore un morceau du délice
A chaque homme accordé pour toute sa saison.

Trois mille six cents fois par heure, la Seconde
Chuchote: Souviens-toi! – Rapide, avec sa voix
D’insecte, Maintenant dit: Je suis Autrefois,
Et j’ai pompé ta vie avec ma trompe immonde!

Remember! Souviens-toi! prodigue! Esto memor!
(Mon gosier de métal parle toutes les langues.)
Les minutes, mortel folâtre, sont des gangues
Qu’il ne faut pas lâcher sans en extraire l’or!

Souviens-toi que le Temps est un joueur avide
Qui gagne sans tricher, à tout coup! c’est la loi.
Le jour décroît; la nuit augmente; souviens-toi!
Le gouffre a toujours soif; la clepsydre se vide.

Tantôt sonnera l’heure où le divin Hasard,
Où l’auguste Vertu, ton épouse encor vierge,
Où le Repentir même (oh! la dernière auberge!),
Où tout te dira Meurs, vieux lâche! il est trop tard!”

     Charles Baudelaire

 

 

 

 

E sia. E siano: Fiori detti in lingua chiara

 

 

Giovedì 7 agosto, con partenza da in Piazza Etra a Badalucco (ore 20.30) è in programma L’Anima, la Notte, le Stelle, reading itinerante di poeti liguri, piemontesi e lombardi nei luoghi caratteristici del borgo antico organizzato dal Comune.

Questo il programma

 

– Ore 20.30 – Piazza Etra: lettura
– Ore 21.30 – Fontana in Castello: lettura
– Ore 22.30 – Piazzetta Santa Cecilia: gran finale letture da parte degli ospiti d’onore

Chiara Daino (attrice), Massimo Maggiari (Università statunitense di Charleston) – Chiara Daino (attrice), Angelo Tonelli, Mirko Servetti, che declamerà la suite poetica Autoritratto con Divano di Lamberto Garzia.

“e canto dell’estate maturante spighe d’agosto, luce nitida
e cavallette dietro le pupille”
(da Alphaomega di A. Tonelli)


Note sugli autori:

– prof. Massimo Maggiari, insegna letteratura italiana presso la prestigiosa Università statunitense di Charleston, South Carolina. Saggista acuto sull’Ermetismo italiano, performer suggestivo. Vive parte dell’anno con gli sciamani eschimesi: in Groenlandia e Polo Artico.
Angelo Tonelli è tra i maggiori studiosi e traduttori di filosofia e letteratura greca a livello europeo, autore e regista teatrale, performer visionario. E’ l’unico intellettuale vivente in Italia ad aver tradotto e commentato tutta la tragedia greca (Eschilo, Sofocle, Eurupide), edizioni Marsilio, 1750 pagine. Ha tradotto e curato l’opera del grande poeta latino Properzio (ed. Marsilio), e dell’angloamericano Eliot (ed. Feltrinelli), e dei filosofi Seneca (ed. Mondadori) ed Empedocle (ed. Bompiani).
Chiara Daino, attrice e performer di fama nazionale che leggerà testi da Baudlaire ad Artaud;
Lamberto Garzia autore in versi fra i più apprezzati nel panorama letterario nazionale. Fra le sue letture pubbliche ricordiamo: ‘RomaPoesia Festival Mondiale Piazza del Campidoglio’, ‘Festival Bologna Città Europea della cultura’ ‘Bologna Festival Nazionale dell’Unità’ ‘Maratea vincitore premio della Presidenza del Consiglio Leonardo Sinisgalli’, Coordinatore Organizzativo del ‘Festa del Teatro di Poesia’ di Sanremo.

 

A. Guglielmi

 

 

http://www.sanremonews.it/it/internal.php?news_code=67873

 

 

 

 

Vedere nel giorno e nell’anno un simbolo
dei giorni dell’uomo e dei suoi anni.
Convertire l’oltraggio degli anni
in una musica, una voce e un simbolo.

 

[Jorge Luis Borges]

 

[Picasso’s Music Paintings]

 

 

In ritardo: rendo grazie.

Rendo giustizia: al Maestro Alberto J. Luppi Musso, a Rodolfo Cervetto, Alberto Malnati e Marco Moro. Il concerto è stato. Passione, professione e pubblico. Prestare la voce e ripartire il testo per note ha sancito/segnato: il piacere del palco. Giovanna: connubio di carisma e credo. E vedo la differenza: il dilettante che si dice un dio [è aperta polemica: provata – oltre limite – dal piccolo primate che preferisce reprimere anziché riconoscere] si ritiri. In silenzio e ascolti. Ricordi della sera, dello Spettacolo: sinergia in atto. Ognuno al suo strumento. Ognuno è il suo strumento. E sono anni e sono studi. E sono scarti: suoni altri/alti. Di chi sa. E Alberto dirige e impasta: amalgama resa. Intesa perfetta [i fiati nelle pause del flauto] e rispetto: di chapeau in chapeau! Non si commenta, non si deve dimostrare: il livello è labor – limae e lama. Maiuscola che miete la massa: Musicisti.

Basta la parola: il disco che si compatta. Giro nella sfera: la penna è plauso ai grandi. Voi tutti. Verso tutti: la ribalta che risulta riga netta. È tratto il punto di arrivo: non un difetto, non una dissonanza. Le mani del Maestro muovono i moti del senso e siamo. Nel sangue scorso: il motivo che (col)lega. Come dirvi: artisti. Veri.

 

 

Sfinita dai soliti refrain mi ancoro alla piena di polmoni: aria che avete – esploso.

 

Di fronte a una realtà che conquista gradualmente la consapevolezza partendo da una unità indifferenziata la ragione incontra non poche difficoltà. Ma ciò che non può essere rappresentato dalla filosofia razionale può essere rappresentato dall’arte: l’artista riesce a rendere visibile lo Spirito che è nascosto nella materia; inoltre, mentre la riflessione filosofica mantiene aperta la separazione fra il soggetto e l’oggetto, l’intuizione estetica e l’opera d’arte annullano definitivamente quella separazione. L’arte può diventare quindi organo della conoscenza filosofica dell’Assoluto.

 

[F. W. J. Schelling, Sistema della filosofia trascendentale]

 

 

 

 

Chiara Daino

 

 

 

E si riporti chi ha recepito: http://www.genovatune.net/live.php?id=325

 

 

 

 

 

 

Sabato 17 maggio 2008

Teatro Von Pauer (via Ayroli 35a, Genova)

ore 21

(ingresso gratuito)

GIOVANNA/JÒHÀNÀN

concerto del Maestro Alberto J. Luppi Musso

 

E Daino presta le corde alla Classica [non solo il Metal è Musica Maiuscola]: cut-up di testi a riunire lo spartito nel Nome e nell’Omen. E si ordina. E si declina: al femminile. Nei toni Rossi nei passi contro. Chi TI VUOLE così: innocente, banale donna, donna per uscire, donna da sposare…

La stessa donna distesa per destini. La stessa: la sposa di Cristo, la moglie di Ulisse, la figlia di Agamennone, l’Amante di Brecht, Madonna e Milady, vergine e mantide. Domina e Regina, Schiava del Silenzio, Cleopatra e Cassandra. La fanciulla in fiamme: rogo di giovane Giovanna… 

 

MARCEL MARCEAU

Pierrot (a casa da solo tutto intento a fare un cappio) Prestatemi un revolver o del buon­senso. Della carta, dell’inchiostro. A piacer vostro. Una sigaretta. L’ennesima. Devo essermi addormentato. Un quarto a mezzanotte, contemplo tutto dal fondo dello scroto. T’ho beccata, ho sognato il tuo bel faccino cinabro. Aveva il vigore di una fandonia, e che vitino di vespa però tenevi. Johnny 23 e il Prete mentre s’inculavano alla gran festa in onore dei mangiatori di loto a Tangeri… poi il Pruno m’ha cavato un occhio e… – toc! – rancando il pag­gio ha bussato alla porta e in fretta alla Granduchessa: “Il covatoio è pronto! Vuole che le prepari la vasca prima?” Poi dalla tasca gl’è cascato un foglietto: “L’uomo proboscide è fi­nalmente in città al: “Mercato delle Zecche, Cacatoio, Giugno [14 e 15] NON MAN­CATE!’’… poi più niente mi sono svegliato maledette imposte aperte! Son tornato al principio di ragione, lo stronzo quasi m’ha convinto. Vermiglio fiotta dallo squarcio ancora. Poirot non vuoi saperne proprio di morire. Il lento gorgoglio dai visceri infuocati gronda, piange e ride insieme. Un groppo in gola quasi strozza! La foia del Punto d’un colpo ravvigorita. Roba nera importata da un cacatoio. L’assunzione è di quelle da cucchiaio rovente o da fornello da campo e carta stagnola. Sotto la farina lo Smunto ghigna senza ragione alla bianca punzione mordace, all’osso, al cosiddetto amore. Che lo squisito torpore torni ancora a farmi martire! (allunga una mano, prende un taccuino) “Questo versare insensato nei tuoi occhi come morto. Delusa? E allora davvero è un gran giorno… prova e dì se un amore del genere avremmo mai potuto viverlo?
Tutto finge. Un posto lasciato vacante riempito un pò alla volta. Sempre lama alla gola. Sempre sulla parte maledetta del Manico. Per sempre, la panza che smania la danza.”

, ,

Schiera di dannati. Nei gabbi per espiazione. Scegli la via più breve. Marcire nel mezzo. Raschiare il fondo. S’ingrossa la fossa, s’aggrottano le fronti. Tutto brucia, tutto viene a galla. Le anime morte nessuno le ha sentite fiatare, nessun morto imprecare. Fa eco in un rintocco l’agonia immota. Santi e martiri, gloriose canaglie contrabbandan pidocchi. Bari, lestofanti battono alla porta. Angeli scalzi vengono a sorreggermi, mentre aspetto.
Ho il mio Inferno da implorare, il mio rompicapo da risolvere. Una domanda. Ma si diverton laggiù? ( il lunare ministro si genuflette.)
Luca Salvatore

 

Luci infrangono lo spazio della vista
Questa notte la notte ha fermato il tempo
La luce e` un vortice
Questa notte non deve finire mai
Perche` sei bellissima
Luna avvolgimi lo spazio della vista
Accarezzo i tuoi occhi e mi resta in mano un po’ di te
La luce e` un vortice
Come frammenti di voci lontane
Bianca lebbra di luce
Che m’ attacca nel buio
La mia pelle si spacca e non si forma piu`
Bianca squama di cielo
Che mi insegue nel buio
La mia pelle si spacca e non si forma piu`
Sono ancora qui non mi spezzo mai
Potrei vivere nel sogno di volare
Lanciandomi a cavallo delle scie
Alzandomi come sabbia
Come un frammento che cade lontano
Bianca lebbra di luce
Che m’ attacca nel buio
La mia pelle si spacca e non si forma piu`
Bianca squama di cielo
Che mi insegue nel buio
La mia pelle si spacca e non si forma piu`
Au clair de lune
Mon ami Pierrot
Prête-moi ta lume
Pour écrire un mot

 

 

Litfiba

 

Pierrot e la Luna, Pierrot è la Lupa…

Chiara